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Vietnam parallelo
Questo racconto è nato dopo aver letto uno studio sullo sviluppo cognitivo del bambino, in particolare sul fenomeno della “mancanza di permanenza dell’oggetto”. Da lì ho immaginato un universo parallelo in cui un esercito tenta di sfruttare quei meccanismi innocenti, con esiti assurdi e tragici.
In un 1975 parallelo, l’America, decisa a mettere fine alla disastrosa guerra, riunì strateghi militari, esperti di psicologia e persino ricercatori dell’Università di Cambridge con l’intento di studiare scrupolosamente il comportamento dei bambini, per carpirne i meccanismi più puri: l’ingenuità, la fiducia cieca e la loro spontanea obbedienza a chi mostra autorità…
Quando venne il momento di combattere, quelle teorie presero forma in carne e ossa: migliaia di soldati americani sbarcarono in Vietnam per "salvare il mondo". Marciavano fieri, caschi lucidi e divise stirate. Ogni passo era un inno alla potenza, un’eco di certezze urlate.
Un giorno, però, furono circondati da migliaia di vietnamiti che facevano paura anche solo a guardarli. I fucili scintillavano, gli sguardi erano lame dritte nei loro caschi. Ogni passo risuonava come un tamburo di guerra.
Calò un silenzio teso, carico di presagi: bastava un gesto mal interpretato per scatenare l’inferno.
Fu lì che il generale Stelle e Strisce, con voce tuonante, diede l’ordine perentorio:
«Tutti! Le mani davanti alla faccia!»
In un attimo, l’esercito si nascose dietro le mani, con la logica infantile di chi crede che coprendosi gli occhi si diventi invisibili. Alcuni, per sicurezza, gridarono pure:
«Mantello dell’invisibilità!»
Convinti di essere diventati fantasmi, restarono immobili.
I vietnamiti, sgranando gli occhi, li osservarono perplessi… e poi spararono.
Fu così che, in quell’universo parallelo, gli Stati Uniti persero di nuovo la guerra.